Frankenstein: la maestosità dell’inquietudine

È curioso pensare che la base di un film su Frankenstein non sia una creatura mostruosa, ma dei complessissimi rapporti familiari tra figlio e genitore. Ovviamente non si sta parlando di una trasposizione qualunque dell’opera di Mary Shelley, bensì di quella nuovissima diretta dal maestro Guillermo del Toro. Prima di addentrarsi nell’analisi di questa poetica pellicola, bisogna introdurre una premessa per capire al meglio chi sia il regista di questo lungometraggio. Del Toro, vincitore di un oscar per la migliore regia nel 2018 per “La forma dell’acqua”, non è un cineasta come tanti, ma uno di quei pochissimi che può definirsi un umile servitore della settima arte, che adora il cinema vero, realizzato in modo puro e concreto. Ciò non significa che Guillermo sia contrario all’utilizzo di effetti visivi, difatti proprio in questo film sono davvero numerosi. Quando si parla di “arte cinematografica vera” ci si riferisce al cinema composto da costumi e trucco fatti a mano, scenografie create con particolare attenzione, ma soprattutto, un assoluto disprezzo per alcuni elementi moderni, come l’uso dell’intelligenza artificiale. Analizzata la figura del regista, non bisogna quindi pensare che sia uno di coloro che storpiano grandi opere a proprio piacimento. Infatti il suo film su Frankenstein non è un’interpretazione libera del romanzo, né una banale declinazione del lavoro originale. ln ogni suo prodotto cinematografico, che sia “Il labirinto del Fauno” o “Pinocchio”, mostra con un occhio magico tanti mondi cupi, isolati e ordinari, in modo da far innamorare della profonda bellezza che mette in scena chiunque, anche i meno appassionati del suo stile o proprio del cinema stesso. E proprio con il suo “Frankenstein”, riesce a condurre quei protagonisti tanto amati del romanzo di Mary Shelley, visti al cinema decine di volte, nel suo particolare universo, ricco di una bellezza sia occulta che affascinante.

Non c’è bisogno di descrivere i tratti salienti della trama di quest’immensa storia, dato che anche i meno appassionati del genere li ricorderebbero senza difficoltà. Sarebbe invece più opportuno notare le piccole dissomiglianze fra gli aspetti descritti in questa pellicola e quelli già noti grazie ad altre messe in scena del racconto. Innanzitutto, prima di parlare abbondantemente della creatura del film, bisogna analizzare il protagonista Victor Frankenstein, interpretato ottimamente da Oscar Isaac. Egli si dimostra talmente ossessionato dalla morte, da cercare con ogni mezzo possibile di ribellarsi alle leggi universali; in lui quindi, si nota una forma di “titanismo”, poiché cerca di prendere in pugno le regole divine per controllarle a proprio piacimento. Pur essendo un brillante scienziato, la sua evoluzione nel film lo conduce verso il baratro dell’ossessione, rendendolo sempre più simile ad un inumano mostro, senza ragione o controllo, dimostrandosi anche peggio della propria creatura. Un aspetto lodevole della pellicola vede proprio coinvolto Victor, infatti – come detto dallo stesso attore Oscar Isaac – non si cerca di rendere la realizzazione della sua creazione disturbante come è spesso stata mostrata, ma molto più intima e personale. Il protagonista si muove in un’atmosfera magicamente costruita dal regista. Si diverte nei suoi esperimenti, non appare inquietante, dà invece l’aspetto di un vero scienziato che si occupa al meglio del suo lavoro.

Inoltre, è centrale il rapporto che Victor ha con i propri genitori: con il padre vive un pesante conflitto, che poi subirà anche con la sua creatura, con la madre invece riesce a relazionarsi senza difficoltà, come avverrà con la fidanzata del fratello, Elisabeth. Ad interpretare sia lei che la mamma del protagonista vi è la medesima attrice, Mia Goth, e proprio grazie a questa correlazione si percepisce quel leggero tratto di ambiguità fra Victor e le sue relazioni interpersonali. Elisabeth è la donna al centro dell’amore dei protagonisti, e forse è anche il personaggio che si distacca di più dalle precedenti rivisitazioni della storia. È una figura, come detto anche da Del Toro, che solo Mia Goth sarebbe riuscita ad interpretare, poiché è riuscita a dare una forte umanità nella sua performance, riuscendo anche ad unire il proprio singolare stile all’ambiente ottocentesco.

Tralasciando il personaggio interpretato da Christoph Waltz, Henrich Harlander, che purtroppo si mostra soltanto come una figura vuota che fa andare avanti lo sviluppo della trama grazie al proprio denaro, l’unico altro protagonista su cui bisogna soffermarsi è “La Creatura”, interpretata magistralmente da Jacob Elordi.

Certamente, centinaia di storie hanno rivisitato il mostro di Frankenstein in moltissimi modi: chi lo ha reso ancor più disturbante di quanto fosse, chi invece lo ha trasformato in modo unico, come Yorgos Lanthimos in “Povere Creature!” reinventandolo grazie alla performance di Emma Stone. Nessuno però si è spinto al livello di Guillermo Del Toro, che non porta su schermo una creatura orribile, ma uno dei personaggi più umani del cinema degli ultimi anni. Come detto dal regista stesso, la creazione di Victor non deve essere terrificante, poiché egli voleva l’uomo perfetto, per questo nonostante abbia cuciture sul corpo, possiede una propria bellezza con delle semplici imperfezioni. L’evoluzione di questo personaggio, odiato dal creatore e compatito da Elisabeth, si dimostra commovente nella crescita, scoprendo il mondo, notando le sue bellezze ed i suoi orrori. La bravura di Del Toro sta nel lasciare la creatura al confine fra la compassione ed il timore, poiché riesce prima ad essere toccante e poi a dimostrarsi violento nei confronti di chi ha davanti. Il suo rapporto con il creatore Victor, è lo stesso che egli aveva con il padre, anche se questo si manifesta in modo ancora più articolato. Lo scienziato, accecato dalla propria ossessione non si rende conto dell’umanità della sua creazione, per questo, diventerà

sempre più instabile. Il rapporto fra i due diventa un sanguinoso conflitto: da un lato la creatura cresce e si migliora, pronta a vendicarsi del suo creatore, dall’altro Frankenstein, pieno di rabbia, perde il dominio di sé stesso.

Un ultimo aspetto da esaminare è ovviamente quello tecnico, sempre maestoso nei film di Guillermo. Toni caldissimi e accesi o freddissimi e cupi caratterizzano la fotografia, l’utilizzo della luce fulminante è davvero incredibile, difatti qualsiasi scena al chiuso ove sono presenti finestre mostra dei bagliori provenienti dall’esterno davvero sublimi. Non è da dimenticare la colonna sonora, composta dal grande Alexandre Desplat, che arricchisce scene che potrebbero sembrare inquietanti, trasformandole in suggestive e creando atmosfere magiche.

ln ultima analisi, si può affermare quanto il nuovissimo “Frankenstein” di Guillermo del Toro sia una grande composizione, anche se purtroppo, per alcuni versi dimostra dei leggeri difetti. Qualche scena fuori luogo o personaggi secondari poco approfonditi sono purtroppo la parte debole del film, ma data la composizione del prodotto finito, non si può non apprezzare il risultato conclusivo, che risulta a tratti commovente, a volte inquietante, ma nell’insieme immensamente incantevole.

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